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Giuseppe Mirigliano è calabrese:
lo
si sente quasi nella sua pittura luminosa, spontanea,
penetrante, senza orpelli o leziosità di superficie, senza
funambolismi cerebrali.
È
un forte temperamento di artista che domina sapientemente il
motivo pittorico che gli si affaccia al cervello e sa
distribuire con pari equilibrio i volumi, le luci e gli
accenti cromatici, su tutto diffondendo un soffio di poesia.
Giuseppe Mirigliano,
autodidatta in un primo tempo, venne successivamente educato
alla pittura da Vincenzo Migliaro.
Nel
diuturno contatto col Maestro egli apprese l’arte di
disciplinare la forma, di giustificare il colore e, sotto
certi limiti, di dare eleganza anche all’oggetto più banale.
Ma egli seppe, nei fecondi pomeriggi di Via Satriano, non
soltanto acuire i mezzi d’indagine artistica, ma anche – in
antagonismo col fascino potente che si sprigionava dal
Maestro – ricercare ed esaltare i tratti della propria
personalità prepotente.
Ecco perché Mirigliano ci appare sotto una fisionomia
inconfondibile nell’eclettismo della sua produzione, anche
se nella tecnica, fino a un certo punto, egli segua le orme
di Migliaro.
Non è possibile qui dare un’adeguata analisi estetica delle
opere di Mirigliano e sarebbe, del pari, sterile fatica
intessere ghirlande di aggettivi altisonanti, peraltro, così
poco cari al suo spirito.
Diciamo soltanto, per concludere, che
la sua arte è tanto persuasiva da far passare l’osservatore,
con lo stesso godimento, dalla contemplazione dei più sereni
giochi di luce attraverso il fogliame di un bosco, alla
vaporosità dell’atmosfera, ai più ardui scorci di roccia sul
mare, sia esso sereno o tempestoso, alla carnosità
succulenta della natura morta, allo sfarfallio dei petali
dei fiori, alla espressione dolce o trasognata o voluttuosa
o malinconica della figura umana.
Gesù Greco - 1949
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